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LA STAGIONE BALNEARE 2023

LA STAGIONE BALNEARE 2023 NEL LITORALE DI CAVALLINO TREPORTI

La stagione balneare 2023 nel litorale di Cavallino Treporti” di Tiziano Simonato è il quarto articolo del Q17 “Scuola, professioni e trend del turismo” da ottobre scaricabile qui

Si è conclusa la stagione balneare e anche quest’anno si conferma la tendenza positiva già registrata nel 2022. Arrivi e presenze, nel comparto del turismo all’aria aperta, si attestano ai livelli pre-Covid. Un buon segnale per la ripresa delle vacanze e dei viaggi in generale, nonostante la congiuntura economica non favorevole.

Il Litorale del Cavallino è particolarmente frequentato per tutto il periodo della stagione estiva da turisti provenienti da Germania, Austria e Svizzera. Gli arrivi iniziano già a maggio con le vacanze di Pentecoste che in alcuni Länder Tedeschi sono di due settimane e in altri, come in Austria, di una. Il calendario delle vacanze scolastiche in Germania viene stabilito con anni di anticipo e con periodi diversificati fra i vari Länder. Con questa modalità siamo in grado di organizzare una promozione mirata, con la partecipazione alle fiere internazionali di settore, nell’area di provenienza dei turisti.

La vera forza di questa destinazione è la fidelizzazione del cliente. Ogni anno arrivano famiglie che frequentano il nostro villaggio da decenni e vengono in vacanza da tre generazioni: i nonni, con i figli e i nipoti. Prima di terminare la vacanza, chiedono già di prenotare per l’anno successivo senza nemmeno conoscere le tariffe, per avere la certezza di poter ritornare nella loro “seconda casa”.

Il Comune di Cavallino-Treporti ha persino istituito il “Premio Ambasciatore” con una cerimonia di riconoscimento alle famiglie di ospiti stranieri, segnalate dai villaggi turistici, che da decenni vi trascorrono le vacanze.

La stagione balneare 2023

Presenze straniere e italiane

Il mese di luglio è il periodo di ferie dei Danesi e poi verso la fine del mese arrivano anche gli Olandesi. Il primo giorno di agosto festeggiamo con un party tutti gli ospiti svizzeri presenti in villaggio. I Tedeschi dopo la Pentecoste ritornano anche per una seconda vacanza verso fine agosto e a inizio settembre. Le famiglie italiane preferiscono il mese di giugno, quando chiudono le scuole, e il periodo canonico delle ferie d’agosto, ma rappresentano una quota minoritaria delle presenze rispetto agli stranieri. Sono in continuo aumento anche gli ospiti provenienti dall’Est Europa. Per questi Paesi il litorale Adriatico è il primo “sbocco sul mare” dove trascorrere le vacanze e i nostri servizi, assieme alla tradizione enogastronomica della cucina italiana, sono la scelta prediletta dei turisti delle “economie emergenti”.  

La stagione balneare 2023

Tipologie di servizi

Il turista “open air”, soprattutto proveniente dal Nord e Centro Europa, predilige le destinazioni più attente alla sostenibilità ambientale e chiede servizi sempre più adeguati agli standard internazionali. I servizi sono erogati seguendo le indicazioni riportate nelle Guide Camping dell’ADAC (Automobile Club Tedesco) e ANWB (Touring Club Olandese). In entrambe il nostro villaggio figura fra le migliori strutture.  A esempio, uno dei servizi più richiesti dagli ospiti è potersi connettere con facilità alla rete wi-fi per lavorare da remoto. Chi arriva con l’auto elettrica e si aspetta di trovare colonnine di ricarica sempre più efficienti. Nel nostro villaggio ci sono quattro stazioni di ricarica di ultima generazione. Particolare attenzione viene dedicata anche alla raccolta differenziata dei rifiuti poiché la buona abitudine di chi la pratica sempre, non può venir meno durante le vacanze

Il personale

Per garantire questi servizi viene impiegato oltre un centinaio di lavoratori fra personale diretto e dell’indotto. Quest’anno le difficoltà nel reperire operatori qualificati e soprattutto disponibili per la stagione, sono state un vero problema. La causa principale è sicuramente dovuta a una sempre minor propensione dei giovani a lavorare nel turismo e nella ristorazione. Oltre alla scarsa attitudine verso queste mansioni, si è notevolmente ridotta anche la forza lavoro. Le famiglie sono composte in media da uno o al massimo due figli e hanno disponibilità economiche sufficienti da poterli mantenere senza un impiego anche dopo l’università in attesa di un “lavoro più interessante”.

Per attrarre nuova forza lavoro, servono attività formative specifiche e politiche attive rivolte ai giovani per incentivarli a lavorare in questo settore, favorendo il loro ingresso nel mondo del lavoro, rendendoli partecipi del valore etico, sociale ed economico che il turismo riversa nel territorio. In tal senso si stanno sempre più sviluppando i Centri di Formazione Professionale e gli ITS per orientare gli studenti nella scelta del percorso formativo nell’accoglienza turistica, nella ristorazione e nell’organizzazione di eventi culturali e sportivi, poiché la competitività di una destinazione si basa anche sulla preparazione del personale nel rendere il miglior servizio. Questo è sicuramente un elemento ancor premiante per l’offerta turistica delle Spiagge Venete rispetto ad altre località balneari. È quindi fondamentale investire nella formazione delle risorse umane, nella conservazione dell’ambiente, nel miglioramento delle strutture e dei servizi per rimanere, nel tempo, la meta ideale delle vacanze all’aria aperta. 

Il Q17 e ” La stagione balneare 2023 nel litorale di Cavallino Treporti” saranno disponibili da ottobre. Per gli altri numeri già disponibili dei Quaderni editi da il prato cliccare qui

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Il turismo va demonizzato o glorificato?

“Il turismo va demonizzato o glorificato?” di Lucia Ammendolia è il terzo articolo del nuovo Quaderno Q17 “Scuola, professioni e trend del turismo” da ottobre scaricabile qui

“L’organizzazione del lavoro richiede più motivazione che controllo, più creatività che burocrazia, più etica che astuzia, più estetica che pratica, più equilibrio vitale che overtime, multitasking e reperibilità”. Domenico De Masi

Aumento degli arrivi

Quest’anno abbiamo assistito a un forte aumento degli arrivi in Italia. Il primo settembre 2023 sono stati presentati a Venezia i dati dell’Osservatorio territoriale flussi turistici nazionali e internazionali. L’Italia è la quarta meta più popolare per i turisti europei, che investono il 12% della spesa totale nel Belpaese. Il maggior flusso di turisti stranieri in Italia proviene da Germania, Svizzera, Stati Uniti, Regno Unito e Olanda. Solo nel mese di luglio l’Italia ha superato Spagna e Gran Bretagna. (fonte immobiliare.it)

Diminuzione turismo interno

Il rovescio della medaglia è che, purtroppo, il turismo interno ha stentato a decollare. Eppure dovrebbe essere il “tesoretto” del comparto, perché al riparo da eventuali variabili che al giorno d’oggi facilmente colpiscono il turismo estero. Inoltre, questo tipo di turismo, predilige località nazionali anche poco battute. Questo si è potuto notare l’anno scorso, con un incremento di presenze in molte aree del Sud.

Giovani professionisti e lavoro

Molti sono gli italiani che nel 2023 non sono riusciti a fare una vacanza o hanno preferito mete più economiche. C’è l’inflazione, il caro prezzi avanza, i salari, rimasti bloccati, non offrono più una sicura base economica. Anche se c’è molta richiesta di lavoro, soprattutto nel comparto dei servizi di ristorazione e alloggio, tanti sono i giovani che da Nord a Sud non rispondono neanche alla richiesta. Molti pensano che siano i giovani italiani a non voler fare sacrifici, ma il fenomeno della “great resignation” (grandi dimissioni) nasce già da un paio d’ anni in America e si espande rapidamente anche in Europa, Tutto ciò sta a significare che forse le cose andrebbero comprese guardando a un modello gestionale diverso per la risoluzione del problema. Questa questione della mancanza di personale nel settore turistico non aiuterà sicuramente nel garantire una offerta di alto livello, come dovrebbe essere quella italiana. I giovani professionisti del settore sono le basi sulle quali costruire la nostra economia. Ben vengano anche nuove normative per tutelare le professioni turistiche, come il recente DDL sulla professione di guida turistica nazionale.

 Ci sarebbe bisogno però di paghe dignitose, corsi di formazione più performanti, snelli e alla portata di tutti. Così come dovrebbero essere le università. La cultura dovrebbe essere un faro importante per il nostro paese, anche come comparto. Molti lavori sono collegati alla cultura, lavori che andrebbero anche a favorire la messa in rete di azioni di protezione e valorizzazione di importanti siti naturalistici e storici. Eppure, si investe ancora poco in questo settore per noi così importante.

Aumento posti letto e cortocircuito

C’è chi pensa che sia una buona proposta l’offrire al turista ricchi ed improbabili itinerari, dopo i quali partirà più stanco di quando è arrivato. Chi invece sostiene che sia in base alla quantità dei posti letto, e alla grandezza delle strutture ricettive, la soluzione per avere più turismo. Oppure che per la promozione serva il rilancio di grandi eventi, che raccolgono in una giornata migliaia di persone,

Ci sono zone del Sud, in cui il turismo stenta a decollare. Si sente spesso parlare di implementazione della capacità ricettiva, per attrarre investitori stranieri, che avessero convenienza nel riempire alberghi e aerei. Il problema non sarebbe risolto, anzi, si creerebbe un cortocircuito importante. Il territorio non avrebbe la forza di sostenere questi meccanismi, dati i problemi atavici che lo attanagliano, come la mancanza di infrastrutture: strade, trasporti, servizi ospedalieri di prossimità, C’è poi l’eterno problema dell’acqua e dei rifiuti. Secondo l’Istat, riguardo il consumo di acqua pro capite, si stima che un turista consumi circa il doppio dell’acqua rispetto a un residente e che produca circa il 50% di rifiuti in più – In queste località sarebbe auspicabile promuovere quello che c’è, che già esiste. Si supera lo scoglio cercando di puntare alla gestione di flussi piccoli ma costanti durante l’anno. Puntando ancora di più sull’offerta globale a base territoriale. Anche gli eventi, se non ben armonizzati ed integrati in un piano di sviluppo e promozione, non avranno la giusta collocazione ed incisività all’interno di un piano per un futuro sviluppo.

Il turismo va demonizzato o  glorificato

La professionalità

Prima della promozione, bisognerà, possibilmente, curare e valorizzare bene il prodotto, che è il luogo, con tutte le sue complessità. La Visione unitaria di partnership pubblico-privata, insieme alla collaborazione tra strutture ricettive è determinante. Come ormai è decisivo per gli enti pubblici avvalersi di personale qualificato, come i destination manager, per promuovere l’offerta di un territorio.

Nel documento Onu Priorità per la ripresa del turismo, tra le linee guida, si legge:

1.Fornire liquidità e proteggere i posti di lavoro. 2. Recuperare la fiducia attraverso la sicurezza. 3. Collaborazione pubblico-privato per una riapertura efficiente. 4. Frontiere aperte con responsabilità – (*gestione flussi) – 5. Armonizzare e coordinare protocolli e procedure. 6. Posti di lavoro a valore aggiunto attraverso le nuove tecnologie. 7. Innovazione e sostenibilità come nuova normalità

Per conseguire questi risultati Onu e Unwto hanno ripresentato e valorizzato il ruolo delle DMOs (Destination Management Organizations) come «organismi di guida e coordinamento di una molteplicità di attori chiamati a creare le condizioni culturali, strategiche e organizzative favorevoli allo sviluppo turistico delle destinazioni”. La politica turistica ha bisogno di professionalità, a tutti i livelli.

Crescente interesse per la sostenibilità

Ormai è la qualità dell’offerta, su tutti i fronti, ad attrarre il turista. Per le grandi città c’è l’esigenza di ordine e pulizia, oltre che la richiesta di sistemi più tecnologici e sostenibili riguardo le strutture ricettive. La tendenza più forte è comunque quella che va alla ricerca delle emozioni, alla scoperta delle tradizioni, dei prodotti locali, delle destinazioni meno affollate, dei luoghi ancora incontaminati.

 Secondo Euromonitor international – nota società di consulenza inglese – il 73% dei travel executive ha riscontrato un crescente interesse per la sostenibilità da parte dei propri clienti. Anche il turismo basato sulla natura – tra cui l’avventura, l’ecoturismo, il sole e il mare – sta godendo di un crescente appetito da parte dei consumatori, per una previsione del 57% di tutti i pacchetti di viaggio nel mondo, in tutto il 2023. Questi pacchetti comprendono destinazioni e attività rurali, balneari e avventurose, poiché il fascino della natura e della natura selvaggia continua a crescere dopo la pandemia, come antidoto all’urbanizzazione e alle nuove pratiche di lavoro ibride.

Il turismo va demonizzato o  glorificato

Turismo e superpoteri

A volte si pontifica sul turismo che viene trattato come una entità con superpoteri: “Il turismo per il rilancio economico”. Diciamo piuttosto che bisogna riuscire a trovare il modo di attivare un circolo virtuoso tra il turismo e il sostegno alle attività locali per sostenere maggiormente l’economia e quindi produrre benessere sociale ed economico. La risorsa di un luogo sono i residenti, ed essi stessi devono essere insieme produttori e fruitori di ricchezza, che deve rimanere sul territorio.

Prendiamo l’esempio di una città come Venezia. Il numero di posti letto per turisti equivale quasi al numero dei residenti, Secondo i dati dell’ufficio studi della Cgia di Mestre, negli ultimi 10 anni la provincia di Venezia ha perso 4.172 artigiani, pari al 14,5% del totale.  Tra i mestieri tradizionali in via di estinzione ci sono calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, orafi, orologiai, restauratori, sarti e vetrai. (fonte Veneziatoday.com) Queste attività caratterizzavano e davano spessore a quella che era l’identità del territorio. Se Venezia si svuotasse dei residenti(resilienti) il luogo stesso si svuota da ogni peculiarità e caratteristica che lo rendeva unico e inimitabile. In questo modo una città diventa una impalcatura per turisti, una nuova Disneyland. Abbiamo una parte d’Italia che anela al turismo l’altra che subisce il turismo di massa.

Il turismo va demonizzato o  glorificato

 Turismo significa soprattutto viaggio, che è una predisposizione naturale che ogni persona avverte. Il turismo è sempre esistito e continuerà ad esistere; quindi, bisognerà iniziare ad amministrare bene e professionalmente questo fenomeno complesso, partendo dai bisogni dei territori, sia livello sociale che ambientale. Si dovrebbe fare una analisi di realtà e pianificare, eventualmente, anche delle strategie nazionali che creino una sorta di osmosi tra aree in cui esso è carente e aree pervase da grandi flussi.

Opere e musei sono riproducibili, anche virtualmente, quello che non può mai essere riprodotta è la natura, il contesto locale, l’attività umana, le relazioni. Cose di fondamentale importanza, non solo per il turismo ma per la vita delle persone.

Ora posso rispondere alla famosa domanda del titolo: Il turismo va demonizzato o glorificato?

Va gestito!

Il Q17 e ” Il turismo va demonizzato o va glorificato?” saranno disponibili da ottobre. Per gli altri numeri già disponibili dei Quaderni editi da il prato cliccare qui

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Nuovi turismi e nuovi apprendimenti nel settore turistico

Nuovi turismi e nuovi apprendimenti nel settore turistico di Chiara Ceccon (docente di discipline turistiche aziendali ITSET A. Martini Castelfranco Veneto -TV -) è il primo articolo del nuovo Quaderno Q17 “Scuola, professioni e trend del turismo” da ottobre scaricabile qui

Apprendimenti nel settore turistico

Superata la crisi pandemica, con tutto ciò che ha comportato, dalla riorganizzazione della didattica alla formazione obbligatoria per i docenti nel campo delle nuove tecnologie digitali, la scuola secondaria di secondo grado ha dovuto affrontare nuove sfide per stare al passo con i tempi e con i cambiamenti nel mondo del lavoro. In qualità di docente di una materia fondamentale nell’indirizzo turistico, ovvero discipline turistiche aziendali, mi sono resa conto che il settore del turismo ha accelerato i tempi in modo quasi incontrollabile; infatti, non è una novità che i flussi turistici nel mercato italiano e internazionale abbiano avuto una ripresa post pandemia a ritmi esponenziali rispetto al periodo pre- Covid-19.

Lo dimostra il fatto che le agenzie di viaggio e in particolare i tour operator on line sono aumentati o hanno modificato la loro mission, partendo dal “turismo di prossimità” per dirigersi verso il cosiddetto “turismo esperienziale”, richiesto dalla maggior parte della domanda turistica. Questo anche a causa del revenge tourism, cioè il desiderio di rivalsa e l’aumento della propensione a viaggiare dopo le restrizioni. Anche le strutture ricettive si sono rinnovate, complice la possibilità di usufruire degli incentivi fiscali e l’offerta si è arricchita anche di nuove proposte nel settore eno-gastronomico.

Lo studio durante la pandemia

Durante e a seguito della pandemia gli stessi studenti hanno avuto un rapporto con lo studio diverso: sono stati costretti a seguire le lezioni e a svolgere i compiti assegnati da remoto e di fatto l’utilizzo di pc, tablet e smartphone per uso scolastico, oltre che personale, li ha portati a essere connessi in ogni momento della giornata.

Le visualizzazioni dei video sono aumentate, così come le iscrizioni a Instagram o a Tik Tok, dove gli utenti vogliono sentirsi protagonisti proponendo nuove esperienze di viaggio, conoscenze di luoghi o cibi tipici del territorio, eventi o contenitori di una serie di proposte che fanno divertire e creare momenti di spensieratezza, raggiungibili on line anche da un pubblico minorenne.

Le nuove tendenze presenti nei social riguardo al settore del turismo sono oggetto di studio anche da parte degli istituti scolastici e del Ministero dell’Istruzione, che, da un lato riflettono sui rischi dell’iperconnessione, ma dall’altro guardano a questa opportunità come a un altro modo di conoscere i vari tipi di turismo, e in generale ad apprendere e studiare in modo innovativo grazie al confronto con diverse realtà e iniziative.

I docenti dei vari gradi scolastici hanno l’obbligo normativo di formarsi attraverso corsi o piattaforme on line che propongono formazione di qualsiasi tipo, e si sono adeguati alle nuove strategie in modo da poter trasmettere con maggior efficacia ai loro alunni competenze socio-culturali e di cittadinanza attiva.

Tuttavia, non è sempre facile per un docente rimanere sulla cresta del cambiamento, considerata la mole di burocrazia che deve svolgere quotidianamente, burocrazia che è aumentata proprio in seguito alle nuove direttive. Il fattore principale che permette a un docente di discipline turistiche di mantenere un livello di attenzione alto è la capacità di coinvolgere maggiormente i colleghi e i suoi studenti attraverso la condivisione di progetti o compiti di realtà che permettano di valorizzare il territorio circostante. In base alla mia esperienza personale, se i ragazzi sono coinvolti attraverso i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, i famosi PCTO, in esperienze attive, sono più motivati e raggiungono l’eccellenza con maggior frequenza.

Una metodologia didattica più coinvolgente rispetto alla classica lezione frontale, dal mio punto di vista, consiste nel partire dall’analisi dei documenti proposti dal docente, per poi inserire nella consegna un obiettivo da raggiungere in modo da creare vari gruppi di lavoro e di confronto. Questa tipologia di lavoro viene attuata anche nei corsi di formazione dei docenti stessi, come quelli proposti dall’USR- Ufficio Scolastico Regionale – Veneto, come, a titolo di esempio, la creazione di podcast o la realizzazione di brevi video che i nostri studenti hanno realizzato in laboratorio e a casa per la valorizzazione delle ville venete del nostro territorio.

Apprendimenti nel settore turistico

Cambiamenti sociali e tecnologici e impatto sullo studio

Negli ultimi anni ho notato che i cambiamenti sociali e tecnologici hanno portato gli studenti a essere, generalmente, meno indipendenti e responsabili e più impazienti: spesso il loro voler tutto e subito non permette un approccio efficace allo studio, mentre se studiano assieme riescono a confrontarsi, a prendere delle decisioni e ad arrivare a un obiettivo condiviso. La modalità di confronto favorisce l’autocritica e lo spirito di iniziativa che sono sempre più richiesti nel mondo attuale.

Gli stage nel triennio della scuola secondaria superiore sono sicuramente una buona opportunità di apprendimento e permettono agli studenti un veloce e consapevole ingresso nel modo del lavoro, perché all’età di 16- 17 anni hanno scarsa consapevolezza del loro futuro e sono ancora nella fase dell’adolescenza, in cui pensano di “spaccare il mondo”, ma in realtà sono superficiali e ingenui, perché non hanno ancora maturato l’esperienza personale per affrontare le difficoltà.

La scuola deve continuare a essere un punto di riferimento fondamentale per i ragazzi che, soprattutto oggi, sono molto disorientati a causa dei rapidi cambiamenti della società e il COVID sicuramente ha contribuito ad aumentare questo senso di insicurezza e fragilità.

Il Q17 e ” Nuovi turismi e nuovi apprendimenti nel settore turistico” saranno disponibili da ottobre. Per gli altri numeri già disponibili dei Quaderni editi da il prato cliccare qui

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Il lato ambientale del PNRR: politiche con (poco) territorio

Il lato ambientale del PNRR: politiche con (poco) territorio di Alessandro Boldo è il quarto articolo del nuovo Quaderno Q16 “Paesaggi umani, paesaggi urbani” da luglio scaricabile qui

1. PNRR e ambiente

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sciolti momentaneamente i vincoli di bilancio al 2026, dovrebbe garantire l’attuazione di quelle riforme strutturali in grado di riattivare lo sviluppo del paese all’interno dello schema Next Generation Eu e a sua volta nel nuovo paradigma dell’European Green Deal (EGD).

Il lato ambientale del PNRR

Next Generation EU ha allocato il 37% di 800MM€ a obiettivi di supporto dell’EGD di cui una parte rilevante all’implementazione del PNRR italiano, con l’obiettivo ambizioso di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e ridurre le emissioni climalteranti del 55% rispetto allo scenario del 1990 entro il 2030.

In riferimento alla transizione, l’Italia è il maggiore beneficiario in termini assoluti, con 70 MM€ rispetti i 27 della Spagna, i 18 della Francia; ma in termini relativi l’Italia destina alla transizione il minimo previsto: 37% contro 40% in Spagna, 46% in Francia, 42% in Germania, 59% in Austria.

2. Quale transizione?

La Transizione è già presente all’interno delle maggiori strategie europee degli ultimi 20 anni, la ‘Strategia di Lisbona’ e ‘Europa 2020’. Come rilevato da Schunz (2022) il termine transizione nella prima è associato a riforme strutturali del tipo knowledge-based al fine di abilitare il dinamismo e la competitività economica dell’eurozona; nella seconda gli interventi di natura prettamente economica spostano il campo di policy sulla mitigazione degli effetti indotti dalle crisi finanziarie in particolare quella dei debiti sovrani avanzando due nuove aree d’interesse: digitalizzazione e cambiamenti climatici. Entrambi i linguaggi manifestano asimmetria di azione e subalternità delle dimensioni sociali e ambientali dello sviluppo sostenibile rispetto agli obiettivi di crescita economica (ibid:16). Nella Strategia di Lisbona, i temi ambientali sono confinati in documenti non integrati, su tutti la strategia dello sviluppo sostenibile di Göteborg (2001); in ‘E2020’ lo spazio di policy ambientale è invece utilizzato in modo utilitaristico e si qualifica per mezzo dell’innovazione tecnologica, dell’eco-efficienza e del disaccoppiamento tra crescita e intensità d’uso dell’energia.

I problemi ambientali, principalmente i cambiamenti climatici, si configurano quale finestra d’opportunità per favorire la ripresa e la crescita economica e, quale effetto sottoprodotto, il contenimento delle emissioni climalteranti. Entrambe le strategie hanno di fatto inibito qualsiasi trasformazione nell’ottica della sostenibilità ambientale (forte) e verso misure ambientali più vincolanti, limitandole in modo utilitaristico al fine di abilitare l’eco-innovazione (ibid:10) in supporto della crescita e dell’occupazione.

2.2 Un cambio di paradigma(?)

A partire dal 2019, nuove ‘coalizioni di discorsi’ consapevoli a livello globale della degradazione degli ecosistemi e dell’emergenza climatica pongono l’UE di fronte alla valutazione di un nuovo paradigma: l’European Green Deal (EGD). Di fatto una rottura discorsiva rispetto il passato, l’EGD ha l’ambizione di consegnare alla sostenibilità e alla tutela delle matrici ambientali il riferimento esplicito e quel compito coagulante per tutte le politiche EU ponendo in modo ambizioso le azioni di neutralità climatica nonché preservando la competitività del sistema economico europeo. L’EGD riprende molti stimoli alla crescita via eco-innovazione già presenti nella Strategia di Lisbona e in E2020 cercando di convalidare il ricorrente, seppur discutibile, discorso per cui nel lungo periodo l’innovazione sarebbe in grado di ridurre la tendenza dei rendimenti marginali decrescenti nella produttività nonché ad abilitare crescita e stabilità economica (Bonaiuti, 2013). Il termine transizione è presente 52 volte e qualificato con aggettivi che richiamano la sostenibilità ambientale e sociale, riferendosi principalmente a processi economici, energetici e industriali (Schunz, 2022: 14).

Risultato di una coalizione di discorsi con alto tasso di intertestualità, transizione ecologica/verde ambisce ad essere il cambio (potenziale) di paradigma che pone la dimensione ambientale della sostenibilità e la giustizia sociale al centro dell’agenda comunitaria, perseguendo un’inversione prospettica già proposta da Marcuse (1998) per il quale sostenibilità (prima di transizione) dovrebbe rappresentare un vincolo, piuttosto che una coalizione di obiettivi.

Se tali discorsi rappresentano una discontinuità rispetto le precedenti strategie, il dubbio ricade sull’atterraggio degli stessi nelle pratiche e negli sforzi implementativi: volgeranno a seguito della path dependance comunitaria verso obiettivi di sostegno alla crescita, oppure saranno abilitanti individuando l’agency in grado di garantire il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi e trasferire i discorsi in pratiche, oppure rappresentano già un’opzione asintotica.

3. Le implicazioni con il territorio

Nel dettaglio delle misure PNRR a maggio 2023 la tutela del territorio ha un tasso di completamento per le riforme normative pari al 97% e 18% per la copertura degli investimenti; le energie rinnovabili vedono il 56% di completamento per le riforme istituzionali e il 14,7% per gli investimenti; infine, l’economia circolare ha completatol’86% delle riforme istituzionali e il 25,4% degli investimenti.

Il lato ambientale del PNRR

Pare evidente il mismatch tra l’implementazione normativa e burocratica, di fatto completata per intero o quasi, e quella attuativa definita dagli investimenti a garanzia di quello che dovrebbe essere l’impatto trasformativo sui territori. Si possono sommariamente e generalmente delineare in corso d’opera alcuni limiti o basi d’indeterminatezza dei processi attuativi del Piano in termini di appalti, governance e implementazione locale:

  • l’aggravante delle complesse crisi dello scenario globale, le strozzature dell’offerta e il relativo aumento dei prezzi delle materie prime e dei servizi energetici;
  • se la frammentazione amministrativa e decisionale è di fatto un limite all’implementazione delle politiche è da verificare se i meccanismi di aggregazione siano gli strumenti preferibili per favorire l’interplay (Young et al., 2008) tra i vari attori o per incentivare l’integrazione degli operatori di gestione[1];
  • le endemiche difficoltà del tessuto amministrativo-burocratico locale in termini di risorse umane e competenze abilitanti. A breve termine paiono in crisi gli obiettivi di sostegno alla generalizzata e auspicata ripresa economica dell’area UE e la tutela del mercato da un eccesso di domanda; mentre nel lungo periodo le riforme e le transizioni annunciate paiono appiattirsi su proposte elencative già presenti negli archivi degli enti locali piuttosto che sul carattere trasformativo degli stessi così come evocato dagli intenti generali del Piano stesso.

A prescindere dalle argomentazioni e dalle coalizioni discorsive sovraordinate, la transizione del PNRR è una transizione de-territorializzata. Il territorio è di fatto la verifica delle premesse discorsive dell’EGD e degli obiettivi di transizione del PNRR, ma la spazialità e le specificità territoriali del programma paiono assorbite dagli stimoli del mercato, da opere o acquisizioni di procedure legate a processi di innovazione tecnologica, energetica, digitalizzazione e deroga normativa, frettolosamente qualificative come semplificazione burocratica e riforme di governance. Gestione rifiuti, efficienza energetica degli edifici, azioni di mitigazione e decarbonizzazione per mezzo di rinnovabili, rinnovo TPL con mezzi a bassa emissione, filiera dell’idrogeno; persino la “Tutela del territorio e risorsa idrica” privilegiano monitoraggi, digitalizzazione, semplificazioni gestionali e infrastrutture per ridurre le perdite di rete, eludendo finalità e strategie di adattamento e trascurando i nodi irrisolti di implementazione e governance multilivello delle politiche ambientali

Il lato ambientale del PNRR

Se la questione del territorio, del territorio-complesso, può attivare una domanda di semplificazione (Donolo, 2007), la dipendenza delle politiche territoriali da una primazia e soluzione tecnica e digitale semplifica il rapporto tra prodotto – politiche – territorio subordinando le seconde al grado di innovazione del primo e mantenendo il terzo quale sfondo inerte.

Su scala globale la crisi ecologica coincide con la massima espansione del modello neoliberale di mercificazione ed erosione delle risorse locali e sta in relazione diretta con le crisi economiche per via dei costi crescenti di ristrutturazione delle basi produttive del capitale. Se negli anni ‘70 del secolo scorso la dimensione urbana ha sostituito la fabbrica come terreno privilegiato per cogliere i meccanismi di produzione e sfruttamento, oggi, ridotte (non poco) le soluzioni spaziali del Capitale[2], è la dimensione globale delle crisi ambientali a svelare i riposizionamenti, le tensioni e le contraddizioni intrinseche della catena produzione-valore-merce.  Sono approcci piegati ai meccanismi del mercato globale, dove ambiente, sviluppo sostenibile, transizione verde/ecologica non sono più (o ancora) un vincolo per le politiche (Marcuse 1998, EGD 2019), ma costituiscono occasione e pretesto per una rinnovata azione di sustainable capitalism (O’Connor, 2021) in termini di erosione, o di green gentrification in termini di accessibilità.

Forse sostenibilità è in attesa (anche) di transizione, ma di fatto negli ultimi 40 anni le politiche hanno assecondato e rinnovato troppe nominalizzazioni, «troppi incanti rispetto al disincanto che produce» (Attili, 2023 :57) spostando continuamente il focus terminologico senza raggiungere gli obiettivi (ambiziosi) prefissati. Pertanto, se transizione ecologica ha l’ambizione di agevolare azioni di ricucitura e convergenza tra i sistemi territoriali non può manifestare meramente carattere tecnico, performativo o applicativo, ma ambire a istituire processi di territorializzazione (Beccattini 2015), un atto continuo di messa a tema del territorio che favorisca il consolidarsi di una coscienza dei luoghi (ibid). Nei processi di territorializzazione le soluzioni ad alta intensità di conoscenza non sono escluse a prescindere ma s’inquadrano in una piattaforma delle competenze direttamente dipendenti dalle specificità, dalla capacità d’iniziativa e di federazione di attori e risorse e che progressivamente trovano centralità nell’organizzazione dei sistemi sociali. Su queste modalità interpretative il PNRR è carente.

Per scaricare “Il lato ambientale del PNRR: politiche con (poco) territorio” e i Quaderni editi da il prato cliccare qui

Bibliografia

Attili, G. (2023) Cosmogonie del possibile, in D’Ammando A., Morawski T., Velotti S. (a cura di) Urban Forms of life. Per una critica delle forme di vita urbane. Quodlibet Studio, Macerata.

Becattini, G. (2015) La coscienza dei luoghi: il territorio come soggetto corale. DonzelliMilano

Donolo, C. (2007) Sostenere lo sviluppo. Ragioni e speranze oltre la crescita. Bruno Mondadori Editore, Milano.

Marcuse, P. (1998) Sustainability is not enough. Environment and Urbanization, Vol. 10, No. 2, October 1998

Orthothes, Nocera Inferiore Sa.

O’Connor, J. (2021) La seconda contraddizione del capitalismo. Introduzione a una teoria e storia dell’ecologia. Ombre corte, Verona.

Schunz S. (2022) The ‘European Green Deal’ – a paradigm shift? Transformations in the European Union’s sustainability meta-discourse, Political Research Exchange, 4:1, DOI: 10.1080/2474736X.2022.2085121

Sini, C. (2000) Da parte a parte. Apologia del relativo. Edizioni ETS, Pisa.


[1]    A esempio, per la gestione dei servizi idrici integrati.

[2]    Quantomeno in termini di rendite marginali, mentre per le rendite differenziali l’altro paradigma della ‘rigenerazione’ non garantisce su tutto il territorio alti rendimenti di mercato.


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Il paesaggio lungo le impronte del Leone Marciano

Il paesaggio lungo le impronte del Leone Marciano di Lucia Ammendolia è il terzo articolo del nuovo Quaderno Q16 “Paesaggi umani, paesaggi urbani” da luglio scaricabile qui

Paesaggio Leone Marciano
Foto cortesia di Philippe Apatie

Avete mai assistito ad un’alba sulle montagne?

È uno spettacolo che nessun altro mezzo creato dall’uomo vi può dare, questo spettacolo della natura.

[…] Ad un certo momento, prima che il sole esca dall’orizzonte, c’è un fremito.

Non è l’aria che si è mossa, è un qualche cosa che fa fremere l’erba, che fa fremere le fronde se ci sono alberi intorno, l’aria stessa, ed è un brivido che percorre anche la tua pelle.

E per conto mio è proprio il brivido della creazione, che il sole ci porta ogni mattina. (Mario Rigoni Stern)

Paesaggio Leone Marciano

La prima reazione che si ha pensando alla parola paesaggio, o panorama che ne è l’estensione amplificata, è che sia qualcosa di esterno a noi, a una visuale da cartolina, qualcosa di astratto, che riusciamo a cogliere soltanto attraverso un unico senso, quello della vista. Invece è qualcosa di molto più complesso, si pensi, per esempio, al “paesaggio sonoro”, dato dall’insieme degli elementi acustici che lo compongono; come il suono delle campane di un vecchio paesino o le cicale in un prato di montagna. Quindi, oltre all’aspetto fisiocratico il luogo esprime anche attraverso i suoni dell’ambiente, la sua identità.

“Il paesaggio era come un verso di poesia che crea sé stesso” (Corrado Alvaro)

Il termine PAESAGGIO deriva da paese, dal latino pagus (= villaggio); da qui l’aggettivo pagensis che significa “lo spazio intorno a un borgo agricolo”.

Questo concetto risalta ancor più nel termine landscape. Secondo uno dei padri della “Convenzione del paesaggio”, il geografo francese Yves Luginbuhl, questo termine è composto da land(terra) e schaft (trasformare, modellare) quindi spazi di territori in continua costruzione e conseguente interazione tra uomo e natura. Tutto questo, mette in luce la naturale correlazione tra il territorio e la parte antropica. All’interno del paesaggio, l’uomo non è un semplice osservatore ma, citando Jacob, è un “soggetto attivo abitante”. Ci sono diverse modalità di rapportarsi al paesaggio, ogni popolo ne definisce e delimita il contesto attraverso le proprie esperienze, vissute in relazione a esso. Questo concetto è sinteticamente espresso in una sola parola che noi usiamo abitualmente: cultura, il cui etimo deriva dal latino “cultura” che significa coltivare, onorare la terra -dalla quale si traggono degli insegnamenti -, prendersene cura. Il paesaggio è un complesso processo culturale.

“I luoghi hanno un’anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana. Un tempo, nell’antichità, le potenze divine apparivano in luoghi specifici: sotto un albero, presso una sorgente, un pozzo, su una montagna, in un pianoro, all’ingresso della tana di un serpente. Gli uomini circondavano il luogo di pietre: per proteggere la sua interiorità. Nascevano i templi; consacrati a queste divinità: gli Àuguri ritualizzando il Genius loci fondavano le città” (James Hillman)

Nelle culture Orientali il paesaggio è espresso con una idea in continuo svolgimento armonico, in cui l’uomo è una parte dell’insieme. Egli, non essendo in contrasto con la natura, non cercando di dominarla, ne ha anche timore. Cerca, invece, di ingraziarsela, curandola, provando in tutti i modi di favorire l’armonia. Infatti, la religione giapponese (lo Shintō) insegna che la natura è spirito. Il termine paesaggio in giapponese è composto da due parole” san sui “che significano “montagna e acqua”. Infatti, molti sono i dipinti raffiguranti le montagne e l’acqua che scorre, proprio per esprimere il legame originario, tra la vita dell’uomo e la natura madre. Inoltre, questo tipo di sensibilità la ritroviamo anche negli Haiku, forma poetica giapponese per eccellenza, legata alla natura e ai cicli stagionali.

Anche nelle culture indigene, come quella degli indiani d’America, la natura ha aspetti simbolici e leggendari, in cui l’uomo vede nella natura forze soprannaturali. Infatti, anche gli alberi erano considerati esseri viventi, con uno spirito proprio, venerati come fonte di saggezza e vita.

Nella cultura occidentale, l’impronta più importante l’abbiamo dalla cultura greca antica, nella quale Zeus, Re e signore del cielo, dominava tutti gli altri dèi, ai quali è legata una narrazione altamente figurativa degli ordini naturali. Nel periodo del Rinascimento, l’occidente riprende con esaltazione il modello greco, la natura viene rivalutata come fonte di vita e armonia. E proprio in quel periodo per la prima volta in Occidente viene rappresentato in maniera concettuale il paesaggio. Chi rappresentò il primo paese su tela fu il Giorgione, di Castelfranco Veneto, dipingendo il famoso quadro “La Tempesta”, attualmente conservato presso le Gallerie dell’Accademia, a Venezia.

“In questo progresso scorsoio / non so se vengo ingoiato / o se ingoio” (Andrea Zanzotto)

“L’anima veneta” è paesaggio, soprattutto negli occhi e nei racconti di chi questa terra l’ha fortemente amata e abitata. Molte sono le testimonianze di questo sentimento, in particolare da chi ne ha vissuto la trasformazione da paesaggio agricolo a industrializzato, cogliendone la bellezza di prima e le contraddizioni del dopo. Come Mario Rigoni Stern, nato ad Asiago, nell’omonimo altopiano. Egli ambienta i suoi romanzi principalmente nelle montagne del Veneto, illustrando con grande cura il territorio e anche il rapporto tra l’uomo e la natura stessa. In alcuni suoi libri utilizza anche una antica lingua: il cimbro, lingua antica dell’altopiano, in via d’estinzione, che lui cercò di valorizzare. Il rispetto per la sua terra era davvero profondo e sentito.

Paesaggio Leone marciano

Così come Andrea Zanzotto, che visse a Pieve di Soligo, tra le colline del prosecco, il quale parla della cementificazione e anche della monocoltura intensiva che porta alla trasformazione del territorio. Quindi, diviene il narratore del lento disfacimento del “suo” paesaggio, che lui aveva visto integro nella sua naturalità. Zanzotto affermava che il legame emotivo, che lega la persona al paesaggio crei l’identità personale. In sintesi, mi verrebbe da dire, che: “siamo quello che vediamo”. Un altro illustre poeta e scrittore, Giovanni Comisso, trevigiano, criticò duramente le ricostruzioni del dopoguerra, e, anche più avanti, l’uso smodato del cemento. Raccontò lo splendore delle ville venete, cercando di promuoverne la loro tutela e valorizzazione. Queste ultime rappresentano in maniera straordinaria il rispetto dell’uomo nei confronti della natura, soprattutto nella grande attenzione in relazione al contesto paesaggistico in cui sono state inserite. Infatti, vennero costruite tenendo conto di tutta una serie di fattori, soprattutto dell’armonia creata tra architettura e paesaggio che diviene, essa stessa, opera d’arte.  

“Io vivo di paesaggi (…) forse la ragione dei miei viaggi per il mondo non è stata altro che una ricerca di paesaggi, i quali funzionavano come potenti richiami” (Giovanni Commisso)

Paesaggio Leone Marciano

Oltre al Giorgione, numerosi sono gli artisti veneti che nella contemplazione della natura ci hanno lasciato opere meravigliose. Molti sono i Pittori che hanno dato lustro all’arte come Tiziano, il Bellini, il Tintoretto, il Veronese, il Tiepolo, il Canaletto, famoso per le sue “vedute” di Venezia. Di quest’ultimo abbiamo recentemente potuto ammirare un quadro, in mondovisione, durante un evento storico: “C’è un pezzo di Venezia durante il passaggio del titolo reale, dalla regina Elisabetta II d’Inghilterra al figlio, re Carlo III. Al St. James Palace di Londra, la frase “God save the King (Dio salvi il re)” che sancisce la salita al trono del re Carlo d’Inghilterra è stata pronunciata davanti alla “Veduta del bacino di San Marco” di Canaletto. Dietro alla persona che recitava la formula storica si poteva vedere il celebre quadro del diciottesimo secolo che, in una delle copie, era giunto anche a Venezia”. (fonte il Gazzettino)

I riferimenti normativi

L’articolo 9 della Costituzione Italiana, avverte che: “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

La tutela del paesaggio, in Italia, è regolata dal decreto legislativo 490/90, rivisitata poi dal d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, conosciuto come Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Esiste anche una legge sul paesaggio urbano, introdotta in Italia nel 2001, dal d. lsg. di cui sopra. Questa legge prevede che i comuni debbano usare un Piano Regolatore Generale (PRG) che delimiti le norme urbanistiche per il territorio comunale. Il PRG deve essere curato in modo da assicurare il rispetto delle norme sulla tutela del paesaggio e dell’ambiente.

Alle varie normative esistenti, inerenti alla tutela paesaggistica, seguono delle deroghe. Alcune di queste sarebbero anche volte al recupero di determinate aree, ma, in generale, potrebbero agevolare interventi di cementificazione, con azioni decisamente sfavorevoli sul paesaggio. Per questo motivo andrebbero, se non limitate, quanto meno esaminate e controllate, in maniera rigorosa, poiché, tramite le stesse, possono essere annullati vincoli paesaggistici, architettonici e/o ambientali.

Servirebbe una più attenta pianificazione urbana, anche dei contesti naturalistici, nei quali troppo spesso non si è tenuto conto dei danni della cementificazione, con relativa scomparsa di aree verdi. Purtroppo, il Veneto risulta essere, in classifica, tra le prime regioni con più alto consumo di suolo in Italia.

Il Veneto è un paese di gente tranquilla e laboriosa, che ama la sua terra e la sua casa, che non si lascia turbare dalle vicende del mondo, che sa godere delle piccole cose della vita. Il Veneto è un paese di paesaggi dolci e variati, di colline verdi e di pianure fertili, di laghi azzurri e di fiumi argentati, di città antiche e di villaggi pittoreschi. Il Veneto è un paese di arte e di cultura, di chiese e di palazzi, di pittori e di poeti, di musicisti e di scrittori. (Giovanni Comisso)

Solo in Veneto ci sono 1068 paesaggi tutelati. Sono paesaggi diversissimi, come il sistema di ville sul Terraglio e sulla Riviera del Brenta; i centri storici di Conegliano o di Noale; alcuni contesti rurali e naturali di particolare pregio come le colline di Asolo o i colli Euganei, Cortina e la valle del Boite.(Fonte Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio) .Ci sono, altresì, 9 siti Unesco paesaggistici, ovvero siti che sono stati identificati come Patrimonio Mondiale dell’Umanità per il loro valore come scenario naturale ma anche culturale. Potremmo citarne qualcuno, come per esempio Venezia e la sua laguna, Le Dolomiti, le ville Palladiane. Nell’elenco, ci sono anche alcuni siti di archeologia industriale, come l’Arsenale di Venezia. Per la cura e valorizzazione del territorio veneto, e per trasmettere quelli che sono stati gli usi e i costumi, la storia e le tradizioni, sarebbe interessante favorire, e attivare, in maniera più decisa investimenti nel comparto dell’archeologia industriale. Sparsi nei territori troviamo fornaci, segherie, miniere, antichi mulini, centrali idroelettriche, filande e tantissimi altri siti di grande interesse, da recuperare in maniera sostenibile.

Sarebbe opportuno prevedere un maggiore interessamento agli ecomusei, di cui la regione Veneto ne individua i requisiti nel disciplinare approvato con DGR n. 1506 del 15.10.2019. “Gli ecomusei sono una forma innovativa di valorizzazione del territorio, che ne identifica e salvaguarda la fisionomia paesaggistica e culturale” (fonte sito Regione Veneto). Gli ecomusei attualmente in Veneto sono tre:Ecomuseo Arcole dalle origini alla battaglia napoleonica – Comune di Arcole (VR), Ecomuseo Valle del Bios – Fondazione Papa Luciani onlus di Canale d’Agordo (BL) e Aquae – Ecomuseo della Venezia Orientale – Comune di San Donà di Piave (VE).  Gli ecomusei sono luoghi di memoria collettiva che viene ritrovata attraverso la ricerca interna ai luoghi. Nell’ecomuseo anche gli alberi, le piante e gli animali vengono salvaguardati e inglobati in un processo di valorizzazione culturale. Pensiamo, per esempio, a una antica filanda e ai filari dei gelsi sparsi lungo le vie, quell’antico paesaggio rurale che meriterebbe di essere riscoperto e garantito, in tutta la sua armonia.

Il Veneto ha un grande territorio da proteggere. Un paesaggio di storie e memorie meravigliose che meriterebbero di essere rivalutate e, ancor più, custodite.

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Il territorio non è una mappa

Il territorio non è una mappa e la mappa non è il territorio di Roberto Ervas è il secondo articolo del nuovo Quaderno Q16 “Paesaggi umani, paesaggi urbani” da luglio scaricabile qui

Il corpo territoriale può essere paragonato al corpo biologico.

Nel corpo territoriale troviamo la compresenza di aree agricole e/o aperte, infrastrutture residenziali e produttive, infrastrutture di servizi energetici, idrici, dati, ecc., infrastrutture viabilistiche e/o trasportistiche, come quelle carraie, ferroviarie, aeree, marittime, ciclabili e pedonali.

Oltre a ciò, esistono e agiscono nel territorio le “reti” cognitive, relazionali, biologiche, sociali, antropologiche, culturali, ecc.

Tutto ciò dimostra che le dinamiche territoriali sono fenomeni pluridimensionali, integrati e complessi.

Semplificando, si può dire che le categorie di ragionamento territoriale sono fondamentalmente cinque e fanno riferimento ai contesti complessi del biospazio, del sociospazio, del tecnospazio, dell’ethospazio -spazio dell’etica e/o del sacro- e del noospazio -lo spazio dell’apprendimento culturale in grado di interpretare i segni territoriali-.

Dalla prima derivano tutte le altre. Si potrebbe dire che il biospazio è lo scenario planetario su cui si sovrappongono tutte le altre “nature” di spazio. Questi spazi non fanno riferimento alla semplice dimensione geometrica. Essi sono fenomeni con dense connotazioni culturali, cognitive, economiche, biodinamiche, autopoietiche, resilienti, antropiche, entropiche e sociali.

Appare in ogni caso evidente che, come il corpo biologico non può essere composto dai soli muscoli e/o dal solo sistema venoso, anche il corpo territoriale non può sostenersi se su di esso prevalgono funzioni e pressioni antropiche a forte discapito del biospazio.

Il territorio non è una mappa

Come nel corpo biologico il prevalere di strutture e/o organi porta alla sua morte e/o disfunzione, così avviene anche per il corpo territoriale, che non può reggersi sulla sola dimensione antropica-entropica.

Esiste ormai una quantità di letteratura e di studi, nonché di modelli urbani, che incontrovertibilmente hanno posto al centro della loro riflessione, per la risoluzione dei problemi, la questione del limite.

Le realtà urbane più vivibili – e guarda caso più ricche – sono quelle che hanno accettato tale sfida e fanno, del “darsi un limite”, l’occasione per il loro rilancio e successo.

Senza addentrarci su questioni fondamentali, che rischiano purtroppo di non interessare, come i concetti di impronta ecologica, di entropia e di bioeconomia, è bene ribadire che, in tutti i sistemi complessi, dove interagiscono diverse azioni e tipologie di flusso non governate da una regia, si innescano fenomeni di inefficienza sistemica e di scompenso. Il mondo degli insetti ci insegna come, nei loro “sistemi organizzativi”, tali fenomeni siano sconosciuti.

Qui si aprirebbe un capitolo molto stimolante, ma per ora, ci accontentiamo di ricordare che, tali sistemi “miniaturizzati” si organizzano ed agiscono comportandosi come una grande intelligenza olistica fortemente integrata al contesto di cui fa parte.

Gli uomini no. Agiamo e ci comportiamo, rispetto alla “modalità” degli insetti, in modo irrazionale e diseconomico. Il mondo degli insetti persegue obiettivi collettivi, noi no. Il mondo degli insetti interagisce velocemente ed efficacemente, noi no. Il mondo degli insetti è fortemente interconnesso e funzionalista, mentre il nostro è disarticolato, conflittuale e irrazionale.

Il territorio non è una mappa

Viabilità carraia

Un esempio eclatante di tale irrazionalità è la viabilità carraia urbana in contesti densi e plurifunzionali, la quale presenta sistematici punti di conflitto, rallentamento, densificazione, inefficienza, ecc.

Tralasciando le condizioni a noi lontane dei contesti territoriali estesi, come le aree metropolitane americane e asiatiche e focalizzando l’attenzione sulle realtà urbane più felici di matrice nord europea , si scopre che le città che hanno risolto meglio il problema del traffico privato sono quelle che hanno smesso di “assecondarlo”, promuovendo il trasporto pubblico e la viabilità ciclopedonale e supportando quello commerciale attraverso specifici percorsi, tecnologie dedicate e organizzazioni logistiche innovative.

Molti di questi contesti vengono chiamati “aree metropolitane” ma, a ben guardare, essi si presentano ancora con un buon tasso di biodiversità, ampie aree verdi, percorsi protetti e dedicati per la viabilità dolce, eccellente trasposto pubblico, organizzazione urbanistica e territoriale di primordine, ottima agricoltura di prossimità, forestazione urbana e un capitale sociale di elevata consapevolezza e cultura. La qualità della vita in tali contesti è la migliore del mondo (*) –fonti ONU-OCSE-.

Riducendo il traffico viario pesante e attivando politiche rigenerative biosociali questi contesti socio territoriali hanno ottenuto:

1- Riduzione significative delle morti dirette e indirette -si rammenta che in Italia sono circa 70 mila l’anno e circa 500 mila in Europa-, per il solo inquinamento dell’aria-;

2- Miglioramento dell’attività cardiocircolatoria e delle difese immunitarie grazie soprattutto alle piste ciclabili dedicate -riduzione della spesa sanitaria annua calcolabile tra il 20% e 25 %!

3- Riduzione dei tempi di spostamento tenuto conto che un’automobile in zona congestionata percorre circa 8-10 km ogni ora;

4- Aumento della resa lavorativa grazie alla maggiore attività fisica e al tempo che si libera durante il trasposto pubblico -connessioni wireless, accessi facilitati, possibilità di concentrarsi, ecc.-;

5- Miglioramento della salute psicologica e riduzione dello stress;

6- Riduzione dei morti per incidenti;

7- Risparmio economico grazie all’utilizzo dei mezzi pubblici rispetto al trasporto privato carraio -è sempre considerevole la percentuale di persone che scelgono il primo quando l’offerta è di qualità-;

8- Riduzione degli aborti spontanei e dei feti deformi;

9- Aumento delle attività economiche legate al turismo e alle attività ricreative;

10- Innovazione nel campo della domotica, telerilevamento, mobilità elettrica, software, ecc.;

11- Riduzione del teppismo e/o microdelinquenza;

12- Aumento e/o massimizzazione dei valori immobiliari;

13- Aumento delle aree dedicate a parco, alle infrastrutture vegetazionali e all’agricoltura di prossimità;

14- Possibilità di pianificare, riconvertire e gestire le trasformazioni future grazie al minor tasso di infrastrutturazione carraia, ovvero maggiore resilienza. Possibilità di sviluppo plurifunzionale;

15- Maggiore autonomia energetica grazie al teleriscaldamento da biomassa ricavabile da ambiti di agricoltura e/o forestazione di prossimità;

16- Significativo aumento della vita media;

17- Maggiore biodiversità, riduzione dei contaminanti sui terreni agricoli, maggiore protezione delle falde acquifere e dei corsi d’acqua nonché migliore qualità dell’aria;  

18 -Riduzione dei costi di manutenzione delle reti infrastrutturali;

Il territorio non è una mappa

I contesti che invece hanno perseguito la politica dell’aumento delle infrastrutture viarie pesanti per sorreggere simultaneamente il trasporto commerciale, personale e pubblico -ovvero l’infrastruttura plurifunzionale carraia- hanno ottenuto:

1- Nessuna gerarchizzazione funzionale e nessuna distinzione tra strade di percorrenza e strade di destinazione. Rafforzamento dell’inefficienza sistemica e della disorganizzazione. Incremento del disordine urbano;

2- Peggioramento del capitale sociale e delle “competenze profonde”;

3- Impossibilità a future riconversioni socioeconomiche e agroalimentari, compromissione dei processi di resilienza. Rafforzamento della territorialità monodimensionale;

4- Riduzione degli investimenti nel campo dell’innovazione tecnologica come la domotica, il trasporto elettrico, le reti integrate, il telerilevamento, i software gestionali, il teleriscaldamento, ecc.;

5- Nessun miglioramento nei livelli di congestione del traffico;

6- Peggioramento dei tempi di percorrenza e aumento della conflittualità viaria

7- Aumento delle morti e delle patologie da inquinamento da traffico;

8- Aumento degli incidenti violenti;

9- Incremento dei contaminanti su suolo, acqua e aria;

10- Aumento della spesa sanitaria e riduzione della vita media;

11- Aumento delle “isole di calore” e della temperatura media estiva;

12- Aumento della microdelinquenza;

13- Aumento degli aborti spontanei, delle malformazioni fetali e del ritardo mentale nei bambini;

14- Maggiore rischio idrogeologico;

15- Compromissione dei valori immobiliari;

16- Minore attrattività turistico-ricreativa;

17- Maggiore difficoltà nell’approvvigionamento agroalimentare. Riduzione dell’agricoltura di prossimità e della bioagricoltura;

18- Aumento dei costi di gestione e/o manutenzione delle reti infrastrutturali.

Un principio su cui è bene sempre riflettere, quando si tratta di valutare i “costi/benefici” delle infrastrutture pesanti, è il principio di non reversibilità. Ovvero che tali interventi permangono nel tempo e compromettono definitivamente il territorio.

Diversamente, le modalità innovative nel campo della riorganizzazione tecnica e funzionale dei flussi, l’ottimizzazione delle reti e la loro integrazione, l’adozione di modelli trasportistici innovativi – tipici del nord Europa -, l’implementazione della viabilità dolce e l’accrescimento della maturità sociale e delle consapevolezze sui temi dell’innovazione urbana e della tutela ambientale, sono decisamente molto più sostenibili ecologicamente, economicamente e socialmente.

Intervenire pertanto sulla territorialità con questo approccio vuol dire accettare la sfida del miglioramento socioeconomico ed ecologico della propria comunità.

Per le nostre comunità questa è una sfida difficile, perché prevede di attivare competenze e predisposizioni non comuni, le uniche in grado di aiutarci ad abbandonare il nostro immaginario monodimensionale, ormai definitivamente colonizzato, dalla primitiva cultura “dell’urbanistica del retino”.

Le conoscenze e gli strumenti che abbiamo messo in atto sino a ora sono stati totalmente inadeguati per rispondere alle sfide che la società ci richiede. Stiamo già pagando, in modo salato, l’assenza di innovazione nel campo della pianificazione e gestione territoriale degli ultimi 60 anni.

E’ evidente che, non essendoci stata un’adeguata programmazione nel lungo periodo, una sufficiente preveggenza biosociale e socioeconomica, nonché un’appropriata sensibilità ambientale, l’attuale condizione di buona parte del territorio nazionale non può che dirsi drammatica.

In particolar modo, le nostre realtà territoriali venete, che ereditano una condizione profondamente compromessa, dovranno attivare politiche di lungo respiro, almeno ventennale, come insegnano le felici programmazioni delle città nord europee, per poter definire al meglio una strategia coerente e un’idea di territorio e di comunità all’altezza delle sfide che le attendono.

I modelli non mancano, le competenze e le visioni culturali innovative nemmeno. Serve in primis un atto di volontà e un “obiettivo di senso”. Abbiamo bisogno di significati e non di tecnicismo spiccio. Vanno attuati modelli e processi organizzativi e progettuali totalmente diversi dai tradizionali approcci cartografico-ingegneristici. Tale sfida non può che prescindere da un coinvolgimento attivo della collettività e dei suoi “soggetti intermedi”.

Si dovranno ridefinire i ruoli all’interno delle amministrazioni comunali, creando processi e piani di lavoro ampi e inclusivi, dove le cosiddette “competenze informali” possano esprimere tutta la loro creatività. Si dovranno coinvolgere professionisti in grado di strutturare approcci multidisciplinari, in grado di superare la logica pianificatoria dell’urbanistica del retino per poter attivare processi biosociali in grado di riprogettare socialmente lo spazio, secondo paradigmi di ben-essere e ben-stare.

Concludendo, auspico che i soggetti pubblici prepostisi possano mettere finalmente in campo piani di lavoro dove, oltre alle “competenze classiche” vengano coinvolti esperti nel campo della bioeconomia, della mobiletica, dell’ecologia umana, della psicologia sociale, dell’urbanistica partecipativa e della gestione integrata dei biotopi, al fine di predisporre uno scenario di azione tecnico operativo di lungo respiro, che dovrà essere perseguito con determinazione e passione.

La sfida è esaltante e il suo fallimento sta solamente nell’arretratezza cognitiva e nel modesto capitale sociale che abita molti dei nostri contesti territoriali. Le territorialità migliori appartengono sempre alle comunità più evolute dal punto di vista etico e culturale.

Le nostre comunità devono accettare “la sfida di Amburgo e/o di Curitiba” per potersi proiettare con coraggio verso i migliori modelli di efficientamento, sostenibilità e promozione socio-territoriale. Il traguardo non potrà che essere quello di una territorialità del ben-essere e del ben-stare, sostenibile ecologicamente, socialmente ed economicamente, proiettata verso economie durevoli in grado di sostenersi nei moltissimi anni a venire.

Questo articolo, ora rivisitato, è stato e reso pubblico dall’autore per la prima volta nel 2015, in occasione di eventi culturali atti a sensibilizzare la comunità trevigiana sulle problematiche pianificatorie del comune di Treviso.

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Revenge Tourism o…forget tourism ?

Revenge tourism o… forget tourism? La ripartenza del settore nel dopo Pandemia

Revenge tourism

Revenge Tourism o…forget tourism ? La ripartenza del settore nel dopo Pandemia di Fabio Casilli è il secondo articolo del Quaderno 15 “Turismo tra rivincita e rigenerazione” in uscita a maggio e che potrete trovare qui

Lo scenario

Il settore del turismo negli ultimi anni, ossia da fine 2019 a oggi, ha subito un vero e proprio tsunami che ha modificato in maniera profonda il modo di “fare” turismo, sia da parte di chi ne usufruisce in quanto turista/viaggiatore, le cui esigenze sono radicalmente cambiate, che da parte di chi ne ha fatto il suo mestiere.

In effetti, la sicurezza sanitaria “prima” non appariva nemmeno tra i primi venti criteri di scelta.

Al di là degli effetti devastanti della pandemia, della gravità del Covid come malattia, al suo propagarsi nel mondo a una velocità e con una facilità inimmaginabili fino ad allora, importanti e non meno gravi sono stati gli effetti terribili da un punto di vista psicologico.

Dopo mesi, anni in cui siamo stati privati di ogni minima libertà personale, dove nell’interesse del gruppo, ogni singola persona era controllata inquadrata e limitata in ogni sua minima attività, un senso di oppressione, di insofferenza ai luoghi chiusi, soprattutto se affollati, si è sviluppata e generalizzata un po’ dovunque.
Anche il perimetro delle nostre – rarissime – uscite era limitato, e una sensazione di disagio, di paura e di sospetto erano molto diffuse.

In questo contesto talmente catastrofico, come nemmeno nei nostri peggiori incubi avremmo mai potuto immaginare, il turismo è stato totalmente annientato, bloccato.
È stato stimato che il 90% degli aerei nel mondo fosse rimasto a terra. Migliaia di alberghi e strutture ricettive chiuse, agenzie di viaggi, tour operator e operatori turistici di ogni tipo ridotti a una inattività totale e sull’orlo del fallimento.

Nessuno svago, solo oppressioni e paure, fobie.

Sono stati due anni in cui anche nei mesi immediatamente successivi alla fine delle restrizioni, la paura dominava le decisioni di ogni tipo, anche, e soprattutto per quanto riguardava i viaggi.

La ripartenza

Il turismo è ripartito molto lentamente, ma inesorabilmente.
La gente dopo tanto tempo rinchiusa e repressa, aveva sviluppato una volontà di muoversi, spostarsi, viaggiare, come mai prima.

Il bisogno di ritrovare una vita “normale” ha spinto all’eccesso la volontà di uscire.
A questo fenomeno di volontà quasi spasmodica di viaggiare è stato dato un nome che spiega molto bene lo stato d’animo che abbiamo avuto tutti quando abbiamo potuto riprendere a farlo: revenge tourism, turismo di “rivincita”.

Revenge tourism

Rivincita sul fatto di poter di nuovo partire liberamente, anche se non tutti i paesi hanno riaperto le frontiere subito. Rivincita in un certo senso sulla vita che riprendeva i suoi diritti dopo essere stata per troppo tempo depressa.

In teoria stiamo quindi parlando di un qualcosa che dovrebbe essere considerato come positivo per tutto il settore.

In realtà, come in tutte le cose, l’eccesso non è mai positivo.


Se quindi da un lato l’assenza totale di attività è stata terrificante e distruttrice di un’economia che in maniera generale è spesso fragilizzata da tanti fattori esterni – pandemia, ma anche attentati, catastrofi naturali, situazioni politiche delicate… – anche la ripresa non è (stata?) esente da problemi.

L’assenza di attività ha fatto sì che moltissime aziende del settore che sono riuscite a non chiudere – impresa non semplice, soprattutto in paesi in cui il turismo non è stato sostenuto, come in Italia e in Francia a esempio, da consistenti aiuti da parte dello stato – abbiano dovuto ridurre in maniera importante la loro forza lavoro.
Parte di queste persone che si sono trovate senza più avere una fonte di reddito, hanno deciso di cambiare settore.

Nel momento in cui l’attività è ripresa quindi, la rapida ripartenza dei volumi di richieste di prenotazione, ha messo in luce un altro problema di non poco conto.

Competenze ed equilibrio vita/lavoro

Molti di quelli che avevano lasciato il turismo, infatti, hanno trovato un nuovo equilibrio e una nuova sicurezza economica in altri lavori e non se la sono sentita di lasciare le nuove certezze per tornare in un settore che per molti di loro era stato il lavoro di una vita e una vera e propria passione.

Tutto ciò ha creato un vuoto di competenze. Le persone che avevano lasciato non sono tornate, chi usciva dalle scuole ha trovato lavoro ma non aveva le capacità e l’esperienza dei loro predecessori. La fragilità mostrata ancora una volta da un mondo troppo spesso indebolito e messo in difficoltà da fattori esterni non prevedibili, ha fatto sì che si creasse un disamore anche da parte dei giovani per un universo che in precedenza ne aveva fatto sognare molti.

Oltre a tutto ciò, il lungo periodo di inattività forzata, ha modificato in maniera profonda l’approccio della gente al mondo del lavoro in generale e nel turismo in particolare, dove spesso gli operatori del settore non conoscono orari e hanno giornate lavorative molto lunghe.

Oramai la precedenza è data alla qualità della vita e non al lavoro a ogni costo. I ristoranti hanno avuto e hanno ancora difficoltà a trovare personale disposto a lavorare fino a tarda sera o durante il fine settimana per stipendi considerati come inadeguati rispetto alle rinunce che impongono

Alcune strutture, alberghi, ristoranti, esercizi turistici di vario tipo, sono arrivati addirittura a dover scegliere di non riaprire per mancanza di personale.

La situazione si è poi piano, piano normalizzata, creando anche una dinamica in certi casi virtuosa. Le aziende si sono dovute riorganizzare e modernizzare per poter fare lo stesso lavoro con meno personale e molte di loro sono state piacevolmente sorprese di vedere che sono tornate ai fatturati pre-pandemia, se non in certi casi anche superiori, con meno personale.

Possiamo quindi dire che il revenge tourism è in ogni caso un successo sul medio-lungo termine.
Ha obbligato i professionisti a tenere conto dei paradigmi precedentemente troppo spesso trascurati come l’equilibrio vita/lavoro e, su impulso della clientela, anche della sostenibilità, l’impatto sull’ambiente e sulle popolazioni locali, per rispondere alle nuove esigenze e richieste da parte dei clienti che, in seguito alla pandemia, sono stati molto più sensibilizzati a queste problematiche.

Ha imposto alla gente di riflettere in maniera diversa sul modo di viaggiare e di consumare, in un primo tempo probabilmente più per paura, in seguito per una vera presa di coscienza per un numero sempre maggiore di persone.
Ecologia, rispetto, sostenibilità sono oggi parole sulla bocca di tutti.

Come sempre, la paura ha obbligato e accelerato la presa di coscienza su problemi per troppo tempo ignorati o sottovalutati.

In un certo senso, il revenge tourism è forse il turismo del nostro pianeta che ha preso la sua “rivincita” sugli innumerevoli scempi commessi dall’uomo da troppo tempo.

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Rigenerazione urbana, socialità e turismo

Rigenerazione urbana, socialità e turismo di Fabrizia Greta Silvestri è il primo articolo del Quaderno 15 “Turismo tra rivincita e rigenerazione” in uscita a maggio e che potrete trovare qui

Durante la mia visita a Parigi lo scorso dicembre in occasione della COP21, volevo assolutamente visitare la Recyclerie prima di andare a Bourget. Il loro approccio è interamente ecologico e dimostra che economia e ambiente possono camminare insieme”. (DEBORA O.RAPHAEL, Directrice Environnement della città di San Francisco)

Rigenerazione urbana

Ho sempre creduto nel riciclo come opportunità per non inquinare il nostro pianeta ma anche per dare nuova vita a qualcosa che non veniva più utilizzato. Forse perché essendo cresciuta con una nonna sarta in casa, fin da piccola ho avuto l’abitudine di indossare abiti creati da “vecchi” vestiti di clienti. Questo mi rendeva orgogliosa perché nessuno aveva abiti come i miei!

Nel 2021, durante il mio primo viaggio a Parigi post Pandemia, un amico mi ha fatto conoscere un luogo che è diventato il mio rifugio ogni volta che ci torno. La Recyclerie: non poteva avere nome più adatto al periodo post COVID che stavamo attraversando.

Azienda agricola e rigenerazione urbana

La Recyclerie è una piccola azienda agricola impiantata lungo la vecchia cinta ferroviaria di Parigi nel 18° Arrondissement. Nasce con lo scopo di sensibilizzare ai valori eco-responsabili in maniera costruttiva e ludica.

Rigenerazione urbana

La Recyclerie è innanzitutto un luogo di incontro, dove si mangia, si studia, si lavora in modo responsabile. I suoi valori sono racchiusi nelle tre ERRE : REduire (Ridurre) REutiliser (riutilizzare) REcycler (Riciclare).

Mi ha talmente affascinato quello che accade all’interno di questa piccola azienda agricola urbana che ho chiesto di poter parlare con un loro responsabile per farmi raccontare da vicino la loro realtà.

Dal punto di vista agro-alimentare la Recyclerie si compone di diversi spazi complementari e interdipendenti: 3 casette per uccelli (è membro della Lega di protezione degli uccelli da agosto 2016) – 1 casa per insetti e aracnidi per facilitare la loro sopravvivenza invernale – 2 anatre corridori indiani che mangiano le lumache dell’orto – 2 porcellini d’India che fanno fuggire i parassiti – 1 tetto verde con 4 alveari per contrastare il declino delle api – 1 pollaio con 17 galline di 6 razze diverse che mangiano avanzi del loro ristorante – 1 lombricompostiera , di cui  vi racconterò poco più avanti.

È proprio grazie all’utilizzo degli scarti alimentari della loro cucina come concime per nutrire i loro terreni, che riescono ad avere raccolti sempre più produttivi ed ecologici, poiché tutto nasce, si esaurisce e si rigenera dalla terra.

Coinvolgimento dei clienti    

I “clienti” in prima linea vengono coinvolti in questo sistema di riciclo: al momento di alzarsi da tavola, dovranno separare gli scarti alimentari in un contenitore apposito che sarà utilizzato il giorno dopo per alimentare le galline.

La loro filosofia attira persone che sono alla ricerca di un sistema di vita più consapevole e sostenibile: chi è interessato viene munito di un apposito contenitore dove raccogliere i propri rifiuti che potrà riportare una volta riempito per poter essere utilizzato nella fertilizzazione dei terreni della Recyclerie, la lombricompostiera di cui vi accennavo poc’anzi. E in più è un’occasione per gustare l’ottimo caffè che viene offerto.

Nel 2016 si è costituita l’associazione “gli amici Riciclatori” di cui fanno parte gli abitanti del quartiere di Clignancourt, che partecipano attivamente agli atelier didattici messi in piedi dalla Recyclerie. Essa ha anche un risvolto sociale organizzando percorsi immersi nella natura per bambini autistici

La Recyclerie non si esaurisce nel campo agro-alimentare ma si espande nel riuso di oggetti e nella vita sociale.

Così “l’Atelier di René” offre la possibilità di far riparare oggetti, piuttosto che riacquistarli. O di crearne dei nuovi da materiali ormai inutilizzabili. E lo si può fare facendosi aiutare dal personale dell’atelier o da soli utilizzando gli utensili messi a disposizione.

Rigenerazione urbana

Parigini e turisti

Il Cinema all’aperto, che organizzano ogni estate, non è frequentato solo dai parigini, ma da qualunque turista che voglia vivere profondamente la città, che non voglia essere esclusivamente colui che visita la Tour Eiffel o il Louvre, scattandosi dei selfie, ma colui che vuole vivere esperienze locali. In questo modo sdraiati su delle sdraio da mare, conversando con il vicino che non si conosce, ma con il quale si fa subito amicizia, nella frescura parigina, ci si rilassa davanti ad un grande classico internazionale, rigorosamente in lingua francese!

Per certo il turismo per la Recyclerie rappresenta solo una nicchia piccolissima delle proprie attività. Se però contestualizziamo questa attività con il turismo esperienziale e con un turista più esigente (in termini soprattutto culturali) possiamo notare come questa nicchia sia in crescita. Dai dati più recenti (fonte Experience Revolution di Arival) il turismo esperienziale si sta rivelando un’occasione anche per gli operatori più piccoli.  

Questi operatori possono essere raggruppati in tre macro aree: tour (svolti da tour operator, guide o host locali) attività a destinazione (con offerta di attività culturali, culinarie, all’aperto) e attrazioni, che possono andare  dai Musei agli osservatori astronomici, non c’è che l’imbarazzo della scelta.

In tale ottica le esperienze sostenibili della Recyclerie entrano a far parte del turismo esperienziale e, credetemi, tutti gli italiani che hanno conosciuto questa realtà durante il loro viaggio a Parigi portano a casa una esperienza di viaggio e della città “vera”che ricordano con piacere e che fanno conoscere ad altri.

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L’IMPATTO DI MUSICA E CULTURA SUL TURISMO

L’impatto di Musica e Cultura sul turismo di Chiara Pegge

“Prima dello sviluppo del turismo, il viaggio era concepito come studio

e i suoi frutti erano considerati l’ornamento della mente e la formazione del giudizio.”

Paul Fussel

Il turismo come fenomeno e lo stesso termine derivano probabilmente dal lungo viaggio intrapreso a partire dal XVIII secolo dai giovani dell’aristocrazia europea, il cosiddetto “Grand Tour”. Goethe, Stendhal, Burney sono alcuni dei nomi più famosi che lasciarono rilevanti testimonianze sul Bel Paese.

Il Grand Tour era un viaggio culturale durante il quale venivano approfondite le conoscenze di chi lo effettuava. I libri stampati successivamente si trasformavano quindi in una sorta di guide turistiche ancora attuali. Oggi, soprattutto negli ultimi tre anni, le modalità di fruizione di molte manifestazioni sono notevolmente cambiate con l’avvento della tecnologia . Ma l’esperienza diretta non può in nessun modo sostituirsi a quella di uno schermo. La cultura in generale e in particolare il turismo musicale generano impatti positivi sui territori che ospitano questo tipo di eventi. Un esempio significativo sono i Festival musicali: uno dei più conosciuti è quello di Salisburgo; il land austriaco genera quasi l’8% del valore aggiunto totale austriaco. A Bayreuth in Germania il Festival dedicato a Wagner, a cavallo di luglio e agosto, mette a disposizione sessantamila posti che vengono prenotati fino a sette anni prima. Il fenomeno del turismo legato alla musica e alla cultura, quindi, non è una novità e negli ultimi dieci anni sono stati scritti libri, tesi di laurea, atti di convegni in quantità industriale.

Musica cultura turismo

Eppure, l’argomento è ancora attuale e le prospettive di sviluppo di questo genere di turismo esperienziale sono notevoli. In tempi in cui si parla quotidianamente di sostenibilità e protezione dell’ambiente la domanda che dovremmo porci è quanto conta il valore dell’offerta rispetto al volume del turismo. In genere il turista culturale e soprattutto musicale ha un approccio del viaggio sicuramente più sostenibile. Il turista culturale pernotta almeno una notte e si dedica alla scoperta del territorio, apprezzando il paesaggio che lo circonda, visitando musei e monumenti nei dintorni. L’Italia è un concentrato di bellezza e i cosiddetti borghi minori possono puntare allo sviluppo del turismo sostenibile attraverso i prodotti culturali sviluppando politiche di audience development. Come vi chiederete, visto i costi da sostenere?

Musica cultura turismo

I piccoli comuni non hanno budget che possano permettere investimenti culturali. La precedenza viene giustamente data al settore sociale e, in questi ultimi tempi, a far quadrare i bilanci. Ecco allora l’importanza di fare rete, di lavorare in sinergia: istituzioni e associazioni per poter accedere a fondi europei; questi ultimi spesso spaventano per la difficoltà di gestire la rendicontazione finale scarseggiando il personale; si può osservare peraltro che ultimamente la commissione europea ha iniziato a semplificare alcune procedure e a implementare l’assistenza alla presentazione dei progetti attraverso i segretariati congiunti. Un altro tema da non sottovalutare e la qualità dell’offerta, soprattutto in campo musicale. Prima sono stati citati come esempio alcuni festival che si svolgono in ambito europeo. È chiaro che per motivi di budget un piccolo comune non può affrontare una tale organizzazione, sarebbe impensabile, ma si può offrire qualità senza impegnare capitali. Dare spazio ai giovani talenti, quelli veri, sarebbe già un passo in avanti. In Italia, se escludiamo manifestazioni super collaudate come i Festival dedicati a Rossini, Puccini, il Ravenna Festival del maestro Muti, il Festival dello Sferisterio di Macerata, Umbria Jazz, si tengono spesso rassegne musicali che non sono all’altezza dell’offerta musicale delle nazioni contermini. Il turista musicale che trova un’offerta di qualità va a Salisburgo ma potenzialmente potrebbe scegliere anche una manifestazione minore se l’offerta è di alta qualità e in un contesto architettonico e paesaggistico di valore che in Italia è praticamente ovunque.

Lo sviluppo del pubblico è un processo strategico, dinamico e interattivo per rendere le arti ampiamente accessibili. Ha l’obiettivo di coinvolgere individui e comunità nell’esperienza, nella fruizione, nella partecipazione e nella valorizzazione delle arti attraverso vari mezzi oggi disponibili per gli operatori culturali, dagli strumenti digitali al volontariato, dalla co-creazione alle partnership. Lo sviluppo del pubblico può essere inteso in vari modi, a seconda dei suoi obiettivi e gruppi target: aumentare il pubblico, attrarre un pubblico con lo stesso profilo sociodemografico del pubblico attuale; approfondire la relazione con il pubblico , migliorare l’esperienza del pubblico attuale; diversificare il pubblico, attrarre persone con un profilo sociodemografico diverso, comprese le persone senza precedenti contatti con le arti.” Guido Lucarno – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

L’impatto di musica e cultura sul turismo è il terzo articolo del Quaderno 14 Dal turismo di massa al turista consapevole che sarà presto scaricabile completo. Per scaricare i Quaderni editi da il prato cliccare qui

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Il cittadino temporaneo e l’accoglienza. Partendo da Sud

Il cittadino temporaneo e l’accoglienza. Partendo da Sud di Lucia Ammendolia

Secondo le ultime tendenze turistiche internazionali, il settore più in auge, in questo momento, è quello delle attività extra ricettive: B&B, case e appartamenti vacanza.

Già nel 2018, secondo un sondaggio ISTAT, gli alloggi privati sono stati i più ricercati con il 61% sul totale dei pernottamenti nazionali (fonte Datatur Federalberghi 2019). In particolare, al sud, dove la preferenza per strutture extra-ricettive e private hanno toccato punte del 67.4% contro il 48% del centro e del Nord.

In questi ultimi anni, a livello internazionale, c’è stato un forte sviluppo di società di affitti turistici che ha già conquistato il mercato, avvalendosi di nuove piattaforme in cui si possono trovare diversi tipi di alloggi: dalla casa vintage a quella con vista su panorami mozzafiato, alla casa in campagna e altre tipologie. Uno dei fattori che incide sulla domanda è che ci si inizia a spostare per periodi più prolungati nel tempo, anche per lavoro grazie allo smart working.

Il contesto, in cui questa evoluzione socioculturale si sviluppa, è quello in cui sta prendendo forma anche una nuova concezione di fruizione turistica con atteggiamenti diametralmente opposti da quelli che fino ad ora hanno significato il turismo mordi e fuggi.

La richiesta che arriva è quella di una esperienza a tutto tondo, in cui il viaggiatore inizia a scoprire i luoghi, ad osservare con calma ciò che gli sta intorno. Un vero percorso di viaggiatore attivo, propositivo, che si interroga su quello che ascolta, che assaggia, su cosa lo emoziona.

Un’esperienza che non è prevista nei viaggi organizzati, con itinerari scadenzati e scavezzacollo, in cui le visite sono delle corse per poter vedere la maggior parte delle cose nel più breve tempo possibile, senza nessuna interazione con “il locale”.

Il cittadino temporaneo e l'accoglienza
Casetta tipica di Condojanni- Foto di Lucia Ammendolia

Abitare i luoghi

Il viaggiatore vuole “abitare” i luoghi. Incomincia, così, a predisporsi a una originaria frontiera del viaggio: il divenire cittadino temporaneo.

Elemento per diventare cittadini temporanei è però soprattutto la volontà dei cittadini locali di accogliere il forestiero e farlo sentire a casa, accompagnandolo alla scoperta di quelle che sono anche le narrazioni del territorio, che non partono da un concetto tecnico ma squisitamente emozionale. Ad ogni azione corrisponde una reazione, quindi è il luogo stesso, con i suoi abitanti, che crea questo tipo di turismo. Non c’è odore di preconfezionato, si condividono con le persone: costumi, elementi naturali, spazi ed esperienze.

C’è un senso simbolico dell’abitare una casa. Farlo equivale ad inserirsi nel luogo in cui la casa è posta, all’interno di una situazione sociale, e ambientale, che sulla persona attiva una sensazione di familiarità e quindi immedesimazione nella realtà circostante.


Ogni casa narra di chi l’ha abitata e vissuta, ne racconta il tempo e le usanze. Vive, insieme alle altre case vicine, alle persone e al paese, aprendosi su una piazza dove ancora esistono gli odori, i sapori e le consistenze di un tempo andato, vissuto e che continua e rivive attraverso la memoria della gente.

Il cittadino temporaneo e l'accoglienza
Foto  gentile concessione di Caulonia Paese Alberga – Sala colazione, nella casa madre del paese alberga –

Partendo da un presupposto culturale legato alla Magna Grecia, nella quale il viaggiatore era sacro, al Sud è una costumanza ancora in uso quella di accogliere con calore il forestiero e cercare di farlo sentire a casa. A Matera, in occasione della sua candidatura a capitale europea della cultura, si evolve questo concetto e si amplia. Si arriva a una idea di tipo progettuale, nell’ambito turistico, che intende valorizzare le filiere locali e offrire, in particolare, quello che generalmente in Italia si riesce a fare meglio: l’accoglienza.

L’accoglienza nei paesi

La particolarità sta nel fatto che al Sud nascono su questa dinamica diversi progetti, ma anche evoluzioni spontanee di cittadini che cercano di rendere più accogliente il loro paese, ricevendo con entusiasmo e coinvolgimento il viaggiatore. Come il caso di Borgo Croce un piccolissimo borgo dell’entroterra calabrese, in provincia di Reggio Calabria, dove tutti i cittadini e le cittadine hanno iniziato una piccola rivoluzione attivandosi nell’abbellirlo e nel renderlo più ospitale. Ricreando, inoltre, alcune tipologie di esperienze come quella del turismo olfattivo, adesso molto di moda in diversi musei del mondo, dove le essenze nell’aere, profuse da piante e fiori in un ambiente semplice immerso in un contesto incontaminato, è un invito alla contemplazione della natura circostante

Il cittadino temporaneo e l'accoglienza
Foto su cortesia di Borgo Croce – vie di Borgo Croce ( RC)

Gli odori, che si respirano in quei tipici paesini del Sud, sono anche quelli dei cibi che vengono preparati in maniera semplice e lenta, come si faceva un tempo, e dove non mancheranno le signore, del posto, che escono fuori dalla porta di casa per offrire delle” bisciole” (polpette di verdura, o di carne, fritte) appena fatte ai turisti.

Via alle idee di Francesco, Pasquale, Valeria, Patrizia, Laura, Daniela, Teo, Luana, Manuela, Enzo, Rocco, Vanessa, Daniele, Tiziana , Riccardo, Giusy – dice Maria Grazia – insomma tutti a dare idee e consigli su cosa fare, sicuramente dimentico qualcuno, ma poco importa , Croce siamo noi, una famiglia allargata, una comunità dove tutto diventa casa, dove il tempo si e fermato agli anni ‘80, dove mangi in compagnia, dove non conosci la solitudine, dove ancora puoi lasciare le chiavi attaccate alla porta di casa, dove se passa uno “straniero” qualcuno gli offrirà da bere…” Tratta da post Fb di Borgo Croce

Poi c’è il paese di Caulonia, che attraverso un progetto di ristrutturazione di antiche case, che non vogliono essere solo spazio ma luogo che si espande, si organizza come Paese Alberga, dove oltre ad albergare, i viaggiatori, possono vivere, insieme alle persone del posto esperienze che vanno dalla raccolta delle olive a quella delle arance, alla rievocazione di antiche tradizioni.

Così come a Camini, dove oltre all’accoglienza turistica vengono accolti e inseriti nel paese anche cittadini extracomunitari, che attraverso progetti specifici riescono ad avere casa e lavoro, in una sintonia di reciprocità con gli abitanti del posto. Vengono così recuperati terreni agricoli e ripresi lavori tradizionali seppur rivisitati in chiave moderna. Ci sono botteghe dove poter imparare l’arte dei liutai, la lavorazione dell’argilla, o di altri mestieri tradizionali, che sono aperti sia ai viaggiatori che alle persone del posto, in particolare ai giovani e giovanissimi. Utilizzabili, quindi, anche come laboratori creativi.

Laboratorio di ceramica, Camini (RC) – Foto di Lucia Ammendolia

Il cittadino temporaneo è quindi un semplice viaggiatore che accolto in maniera familiare riuscirà in poco tempo ad avere contatti con la popolazione locale e a integrarsi nel tessuto sociale del paese. Si immergerà all’interno di un luogo che vuole sentire anche suo e lo rispetterà in maniera naturale. Questa è l’essenza vera del viaggio, come incontro tra culture ed arricchimento reciproco.

Il cittadino temporaneo e l’accoglienza. Partendo da Sud è il primo articolo del Quaderno 14 Dal turismo di massa al turista consapevole che sarà presto scaricabile completo. Per scaricare i Quaderni editi da il prato cliccare qui

Il cittadino temporaneo

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